di Alessandro Urbani
Tra le finalità istitutive della riserva statale del Litorale romano c’è la tutela e valorizzazione delle zone umide. La Convenzione di Ramsar (Iran 1971), protocollo firmato da oltre trenta paesi sparsi in tutto il mondo al fine di tutelare le zone umide e il loro patrimonio biologico, definisce le zone umide come: “zone di acquitrino, palude o torbiera, o acqua libera, sia naturali che artificiali, temporanee o permanenti, tanto con acqua ferma che corrente, dolce, salmastra o salata, incluse le zone di acqua marina la cui profondità, durante la bassa marea, non superi i sei metri”.
In Italia sono più di settanta le zone umide di interesse naturale, ben misera cosa se si pensa che in epoca preromana le aree allagate periodicamente o permanentemente dovevano occupare una superficie stimata pari al 10% dell’intero territorio della penisola (circa 3 milioni di ettari). Con l’unità d’Italia l’estensione delle aree umide si riduce a circa un milione di ettari. La fame di nuove terre, la malaria ormai endemica spinse i governi di allora ad intrapendere una lotta senza tregua contro il “il paludismo”. L’opera di bonifica è continuata anche negli anni ’70 senza una reale valutazione dei benefici che essa avrebbe portato.
Oggi dell’originario patrimonio sono rimasti circa 200.000 ettari; di questi ben 50.000 sono rappresentati da aree di interesse internazionale. A questa serie di processi trasformativi del territorio non è rimasta estranea la nostra area.
Come abbiamo precedentemente visto gli attuali ambienti umidi ricadono all’interno di un più vasto sistema di aree palustri oggi scomparso a seguito delle opere di bonifica intraprese tra il 1884 e il 1931. Lo stagno di Focene rappresenta un residuo dell’antico stagno di Maccarese, bonificato a partire dal 1886.
Nel corso della storia l’atteggiamento dell’uomo nei confronti delle aree umide è andato via via mutando; risolti i problemi igienico-sanitari legati alla malaria si è scoperto che queste aree svolgono un importante ruolo di miglioramento ecologico e climatico del territorio e in molti casi rappresentano delle naturali difese (casse di espansione) dai fiumi in piena. Da aree “improduttive” sono diventate mete turistico-ricreative e oggetto di importanti ricerche scientifiche.
Tra le zone umide preservate nella riserva statale del Litorale romano possiamo distinguere schematicamente due tipologie:
- le aree umide naturali o seminaturali: stagni (Stagno di Focene), piscine (Piscine di Castel Fusano e Castel Porziano), prati umidi temporaneamente allagati (Salicornieti della foce tiberina), piscine degli antichi “Tumuleti” (Piscine di Bocca di Leone, Fregene);
- le aree umide artificiali: canali della bonifica, vasche artificiali (Vasche di Maccarese), Lago artificiale (Porto di Traiano)
La pianura alluvionale presentava vaste paludi e estese foreste planiziarie. Immediatamente nelle zone retrodunali formatesi negli ultimi 2.000 anni ampi stagni salmastri e lame di acque (piscine) interrompevano la continuità di una foresta (la “silva Maesia”) di leccio e sughera nelle aree più asciutte e di farnie, olmi, pioppi e ontani nelle zone depresse umide, ambienti ideali per cinghiali, caprioli, cervi e daini. Gli uccelli migratori durante il loro viaggio verso le aree di svernamento utilizzano le paludi come aree di sosta momentanea per il riposo ed il rifornimento.
BIBLIOGRAFIA
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C. Pavolini, Ostia – Guide archeologiche Laterza, Roma 1989
Anonimus, Una strategia per fermare ed invertire la perdita e il degrado delle zone umide del Mediterraneo. IWRB e Regione Friuli-Venezia Giulia, Trieste 1992
WWF – ACEA , Acqua e ambiente: i mille volti dell’acqua, Roma 1993